Stai a vedere che il momento è quello buono e che forse stavolta una tassa sulla speculazione finanziaria e sulle attività di chi fa soldi con i soldi potrebbe diventare realtà? Parliamo della Robin Hood tax, una tassa per togliere risorse alla speculazione finanziaria e dirottarle verso il settore pubblico e il sostegno alle fasce di popolazione più deboli.

Ne torna a parlare il New York Times, che registra un interesse notevolmente aumentato attorno a questa ipotesi che non piace più solo ai no global e ai movimenti di estrema sinistra oppure al movimento Occupy, ma piace anche ai governi, a potenti della Terra (Al Gore), leader religiosi (Papa Benedetto XVI e l’Arcivescovo di Canterbury) e persino a protagonisti dell’industria e della finanza, come Bill Gates e George Soros.Una tassa sulle transazioni finanziarie, per togliere ai ricchi (banche e operatori della finanza) per dare ai poveri (i cittadini) come faceva Robin Hood, è complicata ma possibile da realizzare e soprattutto potrebbe ottenere due risultati: da un lato rallentare e dissuadere la speculazione selvaggia, dall’altro fornire risorse per rilanciare l’economia e attenuare le disuguaglianze all’interno delle società occidentali. Ma ci sono alcune resistenze da superare.

In Europa una proposta del genere è sostenuta in primis da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy e, ultimamente, anche dal presidente del Consiglio italiano Mario Monti; ad opporsi, invece, c’è il premier britannico David Cameron, che non sembra disposto a rinunciare ai ricchi guadagni della City e sarebbe disposto a un piccolo prelievo solo se fosse introdotto a livello globale, almeno in tutta l’Unione Europea, ma possibilmente in tutto il mondo.

Negli Stati Uniti, infatti, ci sono altrettante resistenze e non potrebbe essere altrimenti, visto che Stati Uniti e Gran Bretagna sono sempre stati gli alfieri del libero mercato e della libertà di investimento in Borsa. Se una tassa del genere fosse introdotta solo in un’area si rischierebbe un risultato paradossale: i capitali fuggirebbero dalle piazze dove si applica l’aliquota di tassazione e si rifugerebbero altrove, come capitò negli anni Ottanta quando la Svezia decise di introdurre solitariamente la Tobin Tax, l’imposta ideata da James Tobin e applicata proprio alle transazioni finanziarie.

In Francia il mese scorso il Senato ha approvato una forma di Robin Hood Tax, ma si è trattato solo di un gesto dimostrativo, dal momento che l’Assemblea nazionale, in cui la destra è maggioritaria, non approverà mai quel testo che dunque non diventerà mai legge. Qualcosa, però, si sta muovendo: ma in che cosa consiste in realtà questa imposta?

Esistono diverse possibilità per tassare il trading finanziario e i movimenti di capitale e non sono alternative fra di loro. Quella più invocata dagli oppositori al liberismo puro è la Ftt – Financial Transaction Tax – un’aliquota (bassissima, dello 0,05%), che si applicherebbe a tutte le transazioni, azioni, obbligazioni, investimenti valutari e derivati: potrebbe raccogliere a livello globale fino a 300 miliardi di euro all’anno e costerebbe pochissimo, visto che tutti i movimenti sono telematici, dunque basterebbe introdurre un prelievo virtuale senza rallentare e complicare le operazioni.

Gli ostacoli sono di natura politica e di omogeneità di trattamento: sarebbe ideale che una tassa del genere venisse introdotta contestualmente su tutti i mercati per colpire in modo coerente tutte le operazioni finanziarie e dissuadere così grandi movimenti speculativi, con un peso impercettibili sugli investimenti dei privati e degli operatori più piccoli. Le obiezioni di stampo liberista – come questa dell’istituto Bruno Leoni – si appuntano sull’esperienza svedese, ma in quel caso la tassa fu dieci volte più alta, dello 0,5% e non dello 0,05%, quindi anche le conseguenze non saranno così disastrose.

Un’altra forma di tassazione colpirebbe direttamente le banche: è la Tassazione sulle banche o Bank Levy, che in verità la Gran Bretagna e altri paesi hanno già introdotto in qualche versione al momento del salvataggio pubblico del sistema bancario dopo la crisi del 2008-2009. La tassa colpirebbe i grandi istituti finanziari, ma per esempio nel Regno Unito ha raccolto solo 2,5 miliardi di sterline all’anno e soprattutto non colpisce hedge fund e operazioni sui derivati, quindi non ha un effetto dissuasivo sulle speculazione.

Un’altra versione è la Fat – Financial Activities Tax – che potrebbe garantire un gettito di 93 miliardi di dollari solo nei paesi dell’Ocse, colpendo profitti in eccesso e remunerazioni come le stock option: una specie di Iva sul settore finanziario. Su questa tassa la Gran Bretagna si è detta disposta a discutere, a condizione che diventi un’iniziative comune di tutta l’Ue. Quella che è indispensabile, però, è una volontà politica che decida di colpire la speculazione e riportare la finanza al posto che le compete, quello di fornire risorse e capitali per i privati e soprattutto per il sistema produttivo, cioè l’economia reale.

VIA finanzablog.it